Si dice che una persona veramente esperta, sia in grado di spiegare le cose più alte e difficili, in modo semplice, diretto e profondo. Cercheremo di farlo anche perché qui, oltretutto, si tratta di spiegare la “neuroscienza della meditazione” (Gyatso 2005), come la definì appunto il Dalai Lama, materia rispetto alla quale la scienza occidentale oggi ha ancora idee parziali teoricamente apologetiche, scientificamente confuse nonché affette da psicologismo e mentalismo, ma che comunque non riguardano il tema necessariamente conciso di questo articolo. Per chiarificare la relazione esistente tra criminologia e meditazione, o meglio tra neurocriminologia e neuroscienza della meditazione, sorge spontaneo mettere in chiaro i due elementi di questa relazione, spendendo qualche parola attorno alla loro struttura.
Per prima cosa, dobbiamo osservare che la neurocriminologia nasce come una delle tante risposte accademiche all’impulso che le neuroscienze continuano ad attivare nei confronti delle discipline umanistiche e scientifiche, riguardo le nuove scoperte che hanno come centro d’attenzione il cervello e la sua complessità strutturale. Di fronte a tale complessità di azione e di risposta cerebrale all’interno degli eventi criminogeni, ecco che la neurocriminologia quale scienza forense si colloca come strumento di profonda comprensione, che la porta pragmaticamente a spostare il suo focus in modo deciso da prospettive ancora vagamente lombrosiane e giuridicamente punitive (a volte ancora presenti nella criminologia tradizionale), all’adesione in toto – almeno dove l’evento criminoso lo permette – al credo redentivo della restorative justice. La neuroscienza della meditazione, rappresenta invece il risultato dello studio neuroscientifico che dagli anni ’50 del ventesimo secolo ad oggi continua a coinvolgere attivamente i sistemi meditativi insiti nelle religioni tradizionali quali yoga nonché meditazioni indiane advaita e trascendentale, meditazioni di area buddhista zen, tibetana, theravada,
meditazioni energetiche taoiste statiche e dinamiche quali tai qi quan e qi gong, meditazione cristiana di silenzio e di contemplazione. Le neuroscienze hanno analizzato particolarmente attraverso apparecchiature elettrofisiologiche (ECG, TAC, RMN, fNMR ecc.) le Tecniche Neuromeditative (TNM) di monaci e di laici durante le sedute di meditazione, facendo osservazioni e sperimentazioni in merito agli stati di coscienza con i correlati neuronali, all’aumento della neuroplasticità cerebrale, agli effetti neurosociopsicologici della meditazione sul cervello, agli effetti della meditazione sulla salute e sulla relazione interpersonale e sociale. Dallo studio neuroscientifico dei sistemi meditativi, ora appare più chiara la relazione tra neurocriminologia e neuroscienza della meditazione, in quanto quest’ultima, accelera lo sviluppo delle qualità umane e professionali criminologiche che approfondiremo in un articolo successivo, ma che per ora possiamo sintetizzare in un aumento esponenziale a breve/medio termine delle facoltà superiori di ordine intuitivo, empatico e di resilienza che si sviluppano nel costante esercizio delle Tecniche Neuromeditative e che senza di esse richiederebbero l’esperienza di molti anni di professione investigativa. Stay tuned…

Nessun Commento

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *